domenica 16 ottobre 2011
sabato 2 aprile 2011
QUANDO E' TROPPO... SCRIVO!
Gentili maestre,
io ho un problema.
Sì, ho un problema come padre. Per comprendere meglio di cosa sto parlando gradirei condividere con voi alcune mie osservazioni, con il solito spirito di collaborazione e di condivisione che sino ad oggi ha contraddistinto il nostro rapporto di educatori primari nella duplice figura di genitore-insegnante. Le farò con il cuore in mano, diretto, senza giri di parole e con la massima sincerità e trasparenza, che, come detto, hanno il solo scopo di conversare con voi. Sarò, ahimè, prolisso unicamente perché credo che un’attenta analisi, per essere esaustiva, non possa e non debba essere “sms”-izzata per il timore che il lettore si possa annoiare. Non lascerò quindi nulla di non-detto, ma spero voi abbiate la pazienza e soprattutto la volontà di arrivare fino in fondo per poter avere una visione completa ed esauriente del mio pensiero e quindi della mia difficoltà.
Premetto che ero titubante, in quanto in molti mi hanno sconsigliato di scrivervi la presente lettera per il timore che essa possa influire sul vostro rapporto verso Scritch o che possa in qualche modo infastidirvi; ma è altresì chiaro che io di voi ho una più alta considerazione di coloro che invece mi intimano a non procedere. Non solo: credo, e penso Voi siate d’accordo, che il principio di libertà di parola e di pensiero sia, oltre ad un diritto inalienabile fintanto che non offende nessuno, la base di qualsiasi collaborazione. D’altra parte, per poter capire il mio problema e trovare un’eventuale soluzione, è fondamentale che voi siate al corrente delle criticità che riscontro nella mia attività di genitore.
Io osservo molto mio figlio, mi piace farlo, mi piace comprendere e condividere i suoi pensieri, assistere all’evoluzione dei suoi ragionamenti e dei suoi errori. Pur cercando di affermarmi come suo riferimento, quando necessario, non lo vizio, non gliela do vinta solo perché è piccolo, non gli do mai le risposte facili senza che prima abbia ragionato autonomamente. Sono molto severo quando serve e affettuoso quando richiesto, e cerco di stargli vicino, senza opprimerlo o condizionarlo, in ogni momento che mi viene concesso. Come ogni genitore ho a cuore il suo futuro e la sua educazione ed è con questo obiettivo che impiego tutte le mie energie.
Con questa ovvia ma dovuta premessa inizio la mia analisi, che ha il solo intento di esprimere alcuni ragionamenti che gradirei esaminare con voi:
Nell’ultimo anno scolastico mi è capitato nei fine settimana di osservare Scritch mentre svolge i compiti, ricurvo sulla scrivania, con il suo callo al dito medio e la schiena non propriamente verticale, che sbuffando ripete con una certa regolarità “sono stanco”, mentre fuori il sole segna la giornata.
Con quell’immagine dinanzi mi scopro a pensare alla mia gioventù, un periodo in cui non esistevano tempi pieni e si andava a scuola anche il sabato mattina. Andavo ad una scuola che distava molto da casa mia, eppure ricordo di aver avuto, oltre alle solite amicizie scolastiche, anche tante amicizie nel quartiere con cui mi incontravo per inventare giochi, litigare per poi riappacificarci, fare danni involontari seguiti dai conseguenti e prevedibili castighi. Poi, più volte a settimana, avevo il mio momento di attività fisica selezionata tra i vari sport che ogni anno sceglievo, sport come l’atletica, in cui prevale il singolo sul gruppo, o sport di squadra, in cui prevale il gruppo sul singolo.
Inoltre, per chi viveva in una metropoli come me, nel fine settimana o nei ponti capitava spesso di fuggire dal caos cittadino partendo sabato dopo scuola per una gita fuoriporta, in montagna, al mare o in campagna che fosse: per i miei genitori era l’occasione per evadere e per noi ragazzini era l’occasione per conoscere nuovi posti o semplicemente diversificare ed estendere la nostra voglia di socializzare con i bambini con mentalità diverse, discriminatamene definite più “provinciali”, spesso in netto contrasto con la nostra “cittadina”. E non ci si può infine dimenticare che quei posti ci permettevano di approfondire il contatto con la natura, di cui la città era davvero troppo povera.
In sintesi, si interagiva con la realtà circostante, si imparava a socializzare, a conoscere se stessi con i propri limiti, ad essere parte in un qualcosa di più ampio del se stessi e a conoscere una fetta di realtà aldilà del nostro piccolo mondo domestico. Per noi non esistevano mai i tempi morti e non perché ci fossero un susseguirsi ininterrotto di impegni preordinati, bensì perché avevamo molto tempo libero per noi ed eravamo spesso noi ad occuparlo pienamente senza mai annoiarci.
Credo che nella mia nostalgica galleria dei ricordi molti possano ritrovarsi, con qualche piccola variante. Adesso però guardo mio figlio e lo vedo a scuola fino al tardo pomeriggio, a partecipare ad altre lezioni interessanti (musica/arte/ecc.) che, pur se fortemente approvate e supportate, hanno di fatto soppiantato il tempo altrimenti dedicato ai compiti. Vedo quindi mio figlio a casa, stanco dopo 8 ore di scuola, che deve cercare di tenere la mente abbastanza lucida per incastrare i compiti tra gli altri impegni. In un battibaleno è sera, si cena e poi va a letto, ormai senza nemmeno più leggere i suoi libri.
Il fine settimana non è molto diverso: pur di permettergli di avere almeno un giorno spensierato, la domenica, concentriamo tutti i compiti al sabato, occupando di fatto molte ore della giornata: nel periodo estivo è eventualmente possibile recuperare qualche ora d’aria nel tardo pomeriggio, ma nel periodo invernale significa non poter uscire ad incontrare altri amici visto che diventa presto buio e freddo. Ipotizzare poi un fine settimana o un “ponte” fuori porta ci risulta difficile, in quanto il godimento di quei giorni dipende inesorabilmente e proporzionalmente dal “baule” di libri e quaderni che dovremmo portarci dietro e dalla mole di compiti che si assegnano solitamente per quei giorni. Sapendo che quella situazione quasi certamente incrinerebbe la serenità della famiglia, oltre ad non permetterci con molta probabilità di godere del periodo di relax, si è portati spesso a preferire di restare a casa piuttosto che rischiare di rovinare dei bei, meritati e rari giorni liberi.
Questa è purtroppo la situazione in cui io, mio malgrado, mi trovo. Ben consapevole e d’accordo che l’educazione extra scolastica spetta a me come genitore, gli effetti della vostra attività di educatori culturali (spesso imposta da direttive ministeriali) condiziona, ahimè, in modo sostanziale i miei progetti educativi. Quello che intendo dire è che, dovendo impiegare la maggior parte del mio rapporto con Scritch all’assistenza nelle attività scolastiche ed alla relativa responsabilizzazione delle stesse, non riesco più a trovare le condizioni ideali per potergli trasmettere ed insegnare - parallelamente a voi - i principi di vita che io ritengo basilari e che vorrei lui assimilasse, riducendo di fatto considerevolmente il mio ruolo di padre educatore nei suoi confronti. Il mio rapporto educativo con mio figlio, in sostanza, viene condizionato in modo determinante dalla scuola, in quanto il mio non risulta più un rapporto alternativo o complementare alla stessa, ma un’estensione della stessa.
Se me lo permetterete, di seguito vi illustrerò le criticità che io riscontro nella mia attività di educatore, che sono certo voi condividerete:
L’ESSENZIALITA’ DEI CONTATTI UMANI
Scritch ha portato a casa, per le mie aspettative, una pagella fantastica, sta diventando un bimbo responsabile, sta imparando le regole sociali e di convivenza, probabilmente in futuro sarà un buon alunno e porterà a casa degli ottimi risultati rendendoci orgogliosi, ma tutto questo a scapito di tutti gli altri aspetti importanti della vita: non conosce altri coetanei nel quartiere se non quelli della sua classe; difficilmente, durante il periodo scolastico, riesce ad uscire di casa e tanto meno lo fa per vedersi con altri compagni o amici, se non di rado ed in via del tutto eccezionale, facendo diventare un evento una condizione che dovrebbe essere a mio avviso normale. Allo stato dei fatti lo stare all’aria aperta ed l’incontrarsi con gli amici viene quindi considerato oggetto di barattato per un buon rendimento scolastico, invece che restare una necessità naturale. In questa situazione ho difficoltà come padre ad insegnare a Scritch a rapportarsi in modo non “esclusivo” con gli altri. Mi spiego: come voi mi avete più volte evidenziato, essendo Scritch figlio unico, ha e cerca sempre un rapporto privilegiato con noi e con gli altri, come nel rapporto con voi. Se non ho la possibilità di buttarlo nella mischia sociale, come faccio a fargli capire che per il mondo non deve considerarsi “privilegiato”, ma “del gruppo”?
L’INFLUENZA DELLA FANTASIA
Un altro cambiamento a cui sto assistendo riguarda la fantasia: la fantasia che Scritch impiegava per il gioco o per inventare qualsiasi cosa (situazioni immaginarie, esperimenti, ecc.) si assottiglia ogni giorno sempre di più e i momenti di svago mentale si sono decisamente limitati: qualche settimana fa infatti, in uno dei rari momenti liberi, l’ho sentito dire per la prima volta in otto anni e mezzo: “papà, non so cosa fare!”- e allora mi domando: come fa un bambino che dovrebbe avere la mente sempre in moto con mille idee ed ancor più proposte, trovarsi improvvisamente senza fantasia, creatività o immaginazione? Vuol dire che gli stiamo atrofizzando la mente subissandola di nozioni, inibendo così la sua capacità di esprimere autonomamente il suo pensiero? Come posso incentivare la fantasia, la creatività, l’immaginazione che è alla base di qualsiasi creazione, intellettuale o manuale?
Così ritorno a pensare a mio figlio, me lo vedo tra qualche anno, adolescente, mentre chiede annoiato ai suoi amici - “ragazzi, cosa vi va di fare?” seguito dalla probabile risposta: “Boh!”. Quel “boh” nasconderà la loro assenza di iniziativa e di fantasia, la loro apatia mentale ed emotiva, la loro incapacità di riempire in modo utile il proprio tempo libero. Questa condizione rischiosa potrebbe portare i ragazzi, in assenza di stimoli, a trovare altri “tipi” di interessi, ivi compreso interessi in “cose” o in “attività” che noi genitori probabilmente non approveremmo.
Ovviamente questa è una visione volutamente pessimista, ma enfatizza l’importanza che sta dietro all’insegnamento della gestione autonoma del tempo libero: secondo me, infatti, è errato credere che il momento di libertà sia solo una perdita di tempo fine a se stessa da riempire obbligatoriamente con mille attività preorganizzate, in cui i nostri figli devono solo seguire ed eseguire le indicazioni che vengono loro di volta in volta impartite. In realtà, se ci pensiamo, è l’unico vero momento in cui i nostri bambini imparano ad esprimersi liberamente senza imposizioni, a prendere decisioni, a socializzare, a curare i propri reali interessi; è l’unico momento in cui possono essere se stessi senza vincoli. Dover limitare esageratamente o sopprimere questo momento, secondo me, significa privare un bambino di una parte importante dell’apprendimento della vita, svuotandolo di una parte essenziale del proprio sviluppo.
L’IMPORTANZA DELLO SPORT
Già i Romani ci consigliavano una “mens sana in corpore sano”, riconoscendo nella sanità dell’anima (e della mente) e nella salute del corpo i beni principali a cui aspirare. Oggi, invece, la cura del corpo attraverso le attività sportive è stata declassata negli adulti a semplice hobby trascurabile, alla pari del bricolage o della raccolta dei francobolli. Per i bambini così piccoli, invece, lo sport significa prima di tutto entrare in contatto con il proprio corpo per conoscerlo e carpirne i limiti, permette loro in questa età di imparare il coordinamento attraverso l’apprendimento dei movimenti ginnici fondamentali e basilari (capriola, ruota, verticale, l’atletica in generale, ecc.), a gestire la competizione così come la sconfitta, a pensare in gruppo senza prevaricare o ad affidarsi ad un “capitano” quando si fanno i giochi di squadra. Tutte situazioni che si possono ritrovare riportate nella realtà quotidiana della vita. Apro una breve parentesi: sono rimasto seriamente sorpreso quando mio figlio mi ha detto che la già breve lezione di ginnastica è stata a volte soppressa “per punizione” - come se lo sport fosse solo uno svago fine a se stesso - per essere sostituita da altre materie ritenute “più utili”.
Fortunatamente riusciamo, ma non immaginate con quale fatica organizzativa, ad “incastrare” 2 ore alla settimana di karatè, disciplina scelta autonomamente da Scritch. Vorrei che avesse ogni tanto più tempo anche per altre attività che potrebbero aiutarlo nella sua crescita psico-fisica, ma sono conscio che ciò è attualmente impossibile, non a causa vostra, ma semplicemente perché il tempo pieno non lo permette.
IL RAPPORTO CON LA FAMIGLIA
Noi genitori, pur volendo responsabilizzare nostro figlio ad organizzarsi autonomamente nello svolgimento dei compiti, siamo obbligati, pur di non vederlo continuamente ingobbito sulla scrivania (perché a questo ci ridurremmo), ad affiancarlo affinché riesca ad ottimizzare il tempo utile senza distrazioni: organizzando insieme a lui una scaletta dei compiti, verificando le pagine da studiare, dettando il testo di brutta da scrivere in bella, rispiegando concetti non pienamente compresi o assimilati, ascoltando quanto studiato, riproponendo in forma schematica semplificata - ove necessario - concetti altrimenti astratti o intricati, analizzando grammaticalmente le parole che non possono oggettivamente ancora sapere, in quanto non ancora affrontate, etc. Apro un’altra parentesi: ci sono a volte compiti, il cui corretto svolgimento è possibile esclusivamente con l’aiuto o l’assistenza di un adulto. Se mi viene permesso un giudizio, trovo che questa situazione sia onestamente discriminante verso quegli alunni che a casa non trovano un adulto disponibile e/o in grado di poterli debitamente supportare: chi per carenze linguistiche, chi per la mancanza di tempo, chi perché non dispone di un computer, chi per i motivi più svariati: la pena sarebbe per costoro una ingiusta condizione ed una immeritata valutazione sfavorevole. Credo quindi che i compiti moralmente e socialmente più corretti siano quelli che un bambino riesce oggettivamente a svolgere integralmente e in totale autonomia, senza l’obbligo di una presenza adulta.
Riassumendo, quindi, su sette giorni settimanali, solo se ben organizzati, resta soltanto la domenica da poter dedicare alla famiglia senza obblighi scolastici. Ma è giusto che chi lavora a tempo pieno passando almeno 8 ore al giorno concentrato sulla propria mansione abbia diritto, per contratto, ad avere ben due giorni liberi da qualsiasi pensiero lavorativo, mentre mio figlio che passa le stesse ore, o più, a studiare non abbia diritto al medesimo riposo, dovendo restare più che concentrato anche nel fine settimana? Con questa prerogativa credo che sia abbastanza prevedibile che Scritch inizi la nuova settimana così come ha finito la precedente, ovvero stanco.
Certamente questo situazione ha fortemente condizionato la nostra vita famigliare: una volta quel raro tempo dedicato per rinsaldare il rapporto padre-figlio e per trasmettere i concetti educativi anche, e non solo, attraverso dialogo, giochi, esperimenti, lavoretti, letture e quant’altro è stato sostituito dall’assistenza perpetua del genitore al figlio durante lo svolgimento dei compiti, che, come vi potrete immaginare, non è più uno dei momenti sereni, come invece nel primo caso, dovendo costantemente motivare, con le buone o con le cattive, il proprio figlio a terminare i molteplici compiti che si susseguono. Mi farebbe infatti piacere che mio figlio avesse in futuro un ricordo piacevole del tempo passato con i propri genitori, con i propri parenti, zii, cugini, nonni, ma al momento tali ricordi non risultano all’ordine del giorno. Un esempio banale: per mancanza di tempo e per l’impossibilità di mia madre (nonna di Scritch di madrelingua tedesca) di poter garantire l’eventuale assistenza a Scritch nei compiti, il giorno in cui lui andava da lei ed incontrava i cugini è stato responsabilmente soppresso. Così pure questa attività è stata spostata alla domenica. La domenica, quindi, è il giorno dedicato a: visita parenti, incontro amici, gite fuori porta, gioco autonomo, giorno con la famiglia (madre-padre-figlio), ecc. Un giorno in cui si raggruppano un po’ troppe attività, non credete? Come posso insegnare a mio figlio l’importanza di un legame famigliare se la famiglia (estesa) la si vede e soprattutto la si gode così di rado? Come posso rinsaldare ed affermare un sano rapporto padre-figlio?
IL CALVARIO DEI COMPITI
Non mi arrogo della presunzione di avere delle soluzioni a portata di mano, in quanto le vorrei eventualmente trovare con la vostra collaborazione e profittando della vostra esperienza, ma ciò nonostante permettetemi di esporvi alcune mie considerazioni che riguardano in modo specifico l’attribuzione dei compiti:
Sono consapevole che i compiti hanno la duplice funzione di ripasso e di consolidamento delle materie illustrate e degli argomenti insegnati in classe, però a mio avviso concentrare troppi compiti durante i fine settimana e/o i ponti infrannuali, come oggi spesso avviene, non permette ai bambini di riprendere le energie necessarie per affrontare il periodo successivo. Non credo che un weekend e/o qualche giorno di ferie possa fare dimenticare mesi e mesi di lezioni: vi chiedo quindi, se fosse possibile, in quei giorni, dare ai bambini eventualmente un breve ripasso delle materie principali, senza caricarli eccessivamente. Credo infatti che il sovraccarico di nozioni possa portare, secondo me, spesso e volentieri a più confusione e meno interesse/attenzione, ottenendo così il risultato opposto a quello desiderato.
Infine, pur condividendo la volontà di voler distrarre gli alunni a scuola con disegni che permettano loro di sviare mentalmente, resto però scettico quando i medesimi disegni diventano un nuovo compito da svolgere o terminare a casa, perdendo la funzione di distrarre la mente trasformandosi invece in nuovo impegno/obbligo svolto controvoglia, soprattutto se si tratta di colorare e/o copiare forme “preconfezionate” dal libro.
I compiti da eseguire, i castighi annunciati in caso di errore o dimenticanza, il timore di dover recuperare in caso di malattia, se condensate tutte insieme nello stesso periodo (e a volte purtroppo capita) producono ansie, tic nervosi o altre forme di esternazione dello stress, che si possono sfogare anche con fantomatici “mal-di-pancia” (palese forma psicosomatica) associati a pianti dirotti la sera prima che riprenda
CONCLUSIONI
Sono conscio del vostro obbligo di dover adempiere alle indicazioni ministeriali in relazione al materiale didattico da dover insegnare nel corso di un anno scolastico e vi ringrazio per le vostre mirabili intenzioni; i principi educativi e l’affetto che cercate di trasmettere a mio figlio, ci aiuta a fare di lui un ragazzo responsabile, onesto, rispettoso, curioso, ecc., ed evitando, speriamo, che diventi uno di quei tanti ragazzi “svuotati” che la società troppo spesso ci sforna.
Continuando così come si è proceduto in quest’ultimo anno scolastico, pur impegnando tutti gli sforzi, ho il timore però di mancare il nostro comune obiettivo per i motivi elencati nella presente e per l’impossibilità di poter contribuire con la mia componente genitoriale, bloccato dal ruolo continuativo di assistente scolastico. Come posso educare mio figlio ad affrontare e a difendersi dalla vita, se non ho il tempo, le condizioni, quindi la possibilità per farlo adeguatamente? Quello che cerco di dire è che pur seguendo il nobile traguardo di “creare” degli studenti che siano in grado di dare sempre ottimi risultati, che siano bravi in tutto e che abbiano e diano le giuste soddisfazioni, si rischia seriamente di avere alla fine dei top-manager o degli intellettuali sì in gamba, ma asociali, egocentrici ed arrivisti, incapaci di intrattenere rapporti umani e di gestire le sconfitte od i conflitti interpersonali, di riempire il proprio tempo libero e di apprezzare e godersi ciò che già hanno invece di mirare sempre più in alto.
Questo è il mio problema come genitore: l’incertezza di raggiungere l’obiettivo dettata dall’impossibilità di poter assistere adeguatamente mio figlio nel processo educativo.
Non voglio essere il solito genitore rompiscatole e fino ad oggi mi sono sempre astenuto dall’esprimere opinioni così personali, ma al tempo stesso sento la necessità di chiedervi un consiglio, condividendo entrambi (io e voi) i medesimi ideali e principi educativi. La domanda con cui concludo la presente è: in che modo posso recuperare il mio ruolo di genitore educatore coniugandolo con le necessità scolastiche?
Con la solita consolidata stima e con il massimo rispetto,
SuperD.
domenica 18 luglio 2010
l'ALTALENA DELLE EMOZIONI...ANIMALISTE
Caro Scritch,
è sempre così bello vederti felice ed esaltato per delle cose fuori dal comune. Mi fai sorridere quando cerchi invano di contenere la tua emozione, saltando come un grillo e agitandoti senza contegno, mi dici con orgoglio che sei diventato papà pure tu…sì, papà di un piccolo merlo, unico superstite di una prole di tre, salvati da morte certa la notte del diluvio. Ricordi?
Al mattino avevamo scoperto che in un cespuglio del nostro giardino aveva nidificato una famiglia di merli, in cui tre piccoli pulcini appena piumati sbirciavano da oltre il bordo del loro nido, rigidamente protetti dalla loro madre. Il tuo entusiasmo per quella incredibile scoperta, pur non essendo la prima volta, non ti permetteva di tenere le dovute distanze necessarie per non disturbare la timorosa famiglia, e la continua curiosità per quelle bestiole che spalancavano il becco in alto in cerca di cibo ad ogni tuo rumore, ti faceva urlare ogni volta di stupore e di felicità, saltando di gioia. Poi il dramma: la madre non è più tornata (certo, con te che ronzavi continuamente attorno al nido!) e i piccoli, colti dalla fame, hanno iniziato ad agitarsi, cadendo rocambolescamente dal nido. Non ricordo più le volte che abbiamo tentato di riporli, inutilmente, nella loro dimora, usando pure dei guanti “vergini”, di tre misure più grandi delle tue piccole mani, nell’invano tentativo di evitare di trasmettere loro i nostri odori. Poi è arrivata la sera e con essa si è compiuto la prima parte del tragedia ….il cielo si è improvvisamente scurito, e per non lasciare i merlotti sotto la pioggia, li abbiamo indirizzati sotto un fitto cespuglio. Le due gocce pronosticate si sono però tramutate in un diluvio. L’istinto animalista di Chihuahua l’ha spinata, preoccupata, a scendere in pigiama con la pila in mano a verificare il loro stato e quando ha scorto che uno di loro si era spostato in mezzo al prato infradiciandosi completamente con il rischio di assideramento, la tua indole di salvatore di animali ha preso il sopravvento coinvolgendo tutta la famiglia: ci siamo trovati così tutti e tre in pigiama, sotto la pioggia, tu con l’ombrellino, a seguire le tue indicazioni su dove trovare eventualmente gli altri trovatelli. La gioia per aver salvato il primo trovatello, si è alternata alla pianto a dirotto per l’apparente morte del secondo, che nonostante le pessimistiche previsioni di Chihuahua, è riuscito a recuperare le forze grazie alle nostre interminabili cure. Solo a mezzanotte, una volta stabilizzato il loro stato, siamo riusciti a convincerti ad andare a letto, anche se l’adrenalina che avevi in corpo ti ha tenuto sveglio e sorridente per un’altra mezz’ora. Il mattino dopo alle sette eri già sveglio pronto a verificare il “tuoi” piccoli cuccioli. Neanche a Natale sei stato mai così ansiosi di svegliarti. Dopo due giorni in cui hai imparato ad imboccarli (anche troppo) come un premuroso genitore e a prenderti costantemente cura di loro (anche troppo) te ne sei uscito con questa frase: “sai che sono diventato papà pure io, perché devo accudire i piccoli…!” Ed è in parte vero, perché quando li porti nel pomeriggio in giardino, è quasi incredibile la scena in cui ti troviamo: sdraiato nell’erba con i tuoi merlotti, uno sotto l’ascella e l’altro sul tuo petto. Ma i tuoi sogni si sono presto spezzati, quando al mattino del terzo giorno una dei due, nonostante sembrasse stare meglio, in poco tempo è morto, probabilmente a causa di una bronchite, visto che era rimasto più esposto dell’arto alle intemperie. Tu hai ostentato un carattere duro, senza sentimenti, facendo quasi credere che non ti importasse più di tanto di quanto era accaduto. Poi però, quando siamo andati ai giardinetti, hai consegnato segretamente questo biglietto alla tua amica che però ha sentito l’obbligo di consegnarci per permetterci di comprenderti:
“Federica, uno dei miei 2 uccellini è morto. Si chiamava Locky e ne rimane solo 1, Blecky, e spero che non muoia. Quando era morto Locky mi è scesa una lacrima per volta e mi manca tantissimo. È la cosa più brutta del mondo. Ormai lui non può più stare sulla terra ma è nel paradiso degli uccelli, da Dio”
Solo dopo averti parlato della lettera ti sei lasciato andare ad un pianto dirotto. Poi, una volta calmato, ti abbiamo consigliato di non trattenere queste emozioni dentro di te ma di condividerle con noi. Però pare tu abbia preso dal nonno, che invece preferiva tenersi tutti i dolori dentro, senza comunicarli.
Fortunatamente è rimasto Blecky, l’ultimo dei tre merlotti. Per non obbligarlo a tenerlo in una gabbia, ormai capace di “svolazzare” oltre il bordo del cartone-nido, lo abbiamo lasciato libero in una parte della cantina, con finestra sul giardino. Così almeno era libero di muoversi in sicurezza (e lontano dalla gatta) potendo defecare senza particolari problemi (in casa sarebbe stato impossibile). Nonché ha pensato bene di suicidarsi….la quinta sera la nonna, che abita sotto di noi, arriva su piangendo con Blecky in mano, completamente ricoperto di sapone liquido. In cantina, infatti, un secchio era stato posato sotto ad uno di quegli erogatori del sapone che però si era rotto. Il merlo, nei tentativi di volo, c’era finito sfortunatamente in mezzo, impantanandosi, ingerendo e respirando quella sostanza chimica. In casa il panico: Chihuahua l’ha subito preso dalle mani della nonna e l’ha messo sotto l’acqua tiepida per togliere il grosso e le bolle che uscivano dal becco del volatile non lasciavano presagire nulla di buono. La situazione era grave: era evidente la difficoltà respiratoria del merlo e il destino sembrava irrimediabilmente. Di nuovo sembravi non curarti troppo della situazione continuando a guardare i cartoni animati e rispondendo “sì, lo so” alle domande se sapessi cosa stava succedendo al TUO piccolo. Ci risiamo, hai riattivato i tuoi scudi emotivi. Intanto Chihuahua, improvvisata veterinaria, continuava a prendersi cura di Blecky, ma i tremori e l’inutile sforzo del piccolo per prendere aria sembravano le ultime scene prima della capitolazione finale. Chihuahua era scissa tra il lasciarlo morire da solo per non avere il coraggio di assistere ad una lenta agonia e l’accudirlo fino all’ultimo atto. La seconda opzione ha prevalso e quando lei si è accorta che una bolla si stava formando sul petto di Blecky e che il collo lungo e tirato dello stesso era sinonimo di fine prossima, ha avuto la prontezza di prendere una ago, sterilizzarlo con il fuoco e di bucare il rigonfiamento. Appena ha trapassato la pelle e si è sgonfiata la bolla, il merlo ha ripreso a respirare, con fatica, ma regolarmente. La situazione era lontana dall’essere risolta. La tempra del merlo era seriamente compromessa.
Nel frattempo ti ho preso da parte e ti ho chiesto di trasmettermi le tue emozioni, di non fare come l’altra volta. Solo dopo aver iniziato a ricordare come era bello stare con Blecky, ti sei girato, mi ha abbracciato con forza, e ti sei lascito andare ad un pianto liberatorio. Solo dopo tre quarti d’ora sono riuscito a farti calmare. Blecky, superata la fase critica della respirazione difficoltosa, si stava lasciando andare e solo le cure della nonna per tutta la notte (sottolineo TUTTA la notte), che ha lavato il piumaggio e gli occhi con il latte per evitare irritazioni, arrivando anche al punto di fare una lavanda gastrica sparando il latte in bocca alla bestiola per obbligarla a defecare tutta la schifezza che aveva ingerito, ha fatto sì che vedesse l’alba del giorno dopo. Era sabato, tu dormivi ancora, ed io e mamma ci siamo decisi a portare l’uccellino dal veterinario. La sentenza è stata dura, come prevedibile: nonostante pare si sia un po’ ripreso, la quantità di detersivo ingerito lascia poche speranze. In un arco di 2-3 giorni potrebbe comunque morire di bronchite da intossicazione. Anche se il veterinario lo da per inutile, insistiamo nel richiedere degli antibiotici e dei ricostituenti. Inoltre ci informa che la decisione di Chihuahua di forare il petto del merlo è essenziale e stata degna di ER, in quanto senza quel tipo di intervento sarebbe certamente morto in pochissimi secondi/minuti. Chihuahua è orgoglioso e riportiamo Blecky a casa per farti una sorpresa.
Quando ti sei svegliato ed hai visto Blecky nel suo cartone di nuovo vispo, quando ormai la sera prima lo davamo per spacciato, per te è stato come vedere Lazzaro. L’emozione di gioia non era misurabile e gli abbracci si sprecavano. Hai addirittura rinunciato ad andare ai giardinetti per poterlo accudire.
Ebbene, sono passati solo 2 dei 3 giorni, e Blecky, al quale non è mai mancata la fame, oggi è stato in giardino e ha iniziando a volare dalla tua mano, dove ormai albergava da troppo tempo, all’albero vicino. Contro tutti i pronostici pare ce l’abbia fatta, sarà stata la sua tempra, saranno state le nostre cure, sarà stata la tua inesauribile attenzione per il TUO piccolo, ma pare che l’abbiamo salvato.
Questa altalena di tue emozioni ha trascinato pure me, che non sono notoriamente un amante di uccellini. Quello che però trovo curioso è che nonostante tu abbia avuto contatti con tanti animali, domestici e selvatici, è la prima volta che ti vedo così coinvolto emotivamente. Non ne capisco il motivo, ma è bello vederti in questo stato di genuino animalista…. in linea con il tuo sogno del “cosa vuoi fare da grande”.